Corte penale pronta all’estradizione: cosa succede con l’Aia

L’Italia si è trovata al centro di una controversia internazionale significativa riguardante il mancato rispetto degli obblighi di cooperazione con la Corte Penale Internazionale nel caso di Osama Elmasri Njeem, noto come Almasri. Arrestato a Torino il 19 gennaio 2025 su mandato della CPI per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, il sospettato è stato rilasciato e rimpatriato in Libia solo due giorni dopo, senza estradizione formale. La decisione italiana ha provocato una condanna ufficiale della CPI il 17 ottobre 2025, segnando un precedente storico per il Paese e riaccendendo il dibattito sugli impegni internazionali della magistratura italiana.

In sintesi: il 19 gennaio 2025 l’Italia ha arrestato Almasri su mandato internazionale, ma lo ha rilasciato il 21 gennaio rimpatriandolo in Libia come persona libera. La Corte Penale Internazionale ha accertato formalmente il mancato rispetto degli obblighi di cooperazione da parte dell’Italia, respingendo tutte le giustificazioni avanzate dal governo italiano.

La cronologia degli eventi e il contesto del caso

Il 18 gennaio 2025 la Camera Preliminare I della Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti di Almasri per crimini di guerra e contro l’umanità, tra cui omicidio, tortura, violenza sessuale, trattamenti crudeli e inumani, persecuzione e detenzione arbitraria commessi a partire dal 15 febbraio 2015. Questi crimini sarebbero stati perpetrati nella gestione della prigione di Mitiga a Tripoli, in Libia. In concomitanza con l’emissione del mandato, la Cancelleria della Corte ha inviato formali richieste di esecuzione a sei Stati Parte dello Statuto di Roma, inclusa l’Italia.

Il giorno successivo, il 19 gennaio 2025, la polizia giudiziaria italiana ha individuato e arrestato Almasri a Torino in esecuzione del mandato internazionale. L’arresto inizialmente sembrò rappresentare un successo della cooperazione giudiziaria internazionale, con l’Italia che adempiva ai propri obblighi verso la CPI. Tuttavia, la situazione si è risolta in modo drammaticamente diverso: la Corte d’Appello di Roma, competente sulla materia secondo la legge nazionale 237/2012 che disciplina la cooperazione con la CPI, ha ordinato la liberazione immediata di Almasri.

Conseguentemente, il 21 gennaio 2025, solo due giorni dopo l’arresto, il sospettato è stato rimpatriato in Libia attraverso un volo di Stato italiano, utilizzando una procedura di espulsione amministrativa prevista dal Decreto Legislativo sull’immigrazione. La decisione è stata resa ancora più controversa dal fatto che il governo italiano non ha informato né consultato preventivamente la Corte Penale Internazionale riguardo al rilascio e al rimpatrio. La CPI ha tentato ripetutamente di comunicare con il Ministero della Giustizia italiano per coordinarsi sulle procedure, senza ricevere riscontri adeguati. Solo il 27 gennaio 2025, ben sette giorni dopo il rimpatrio, il Ministero ha informato la Corte che Almasri era già stato riportato in Libia.

La decisione della Corte Penale Internazionale sugli obblighi violati

Con una decisione del 17 ottobre 2025 (ICC-01/11-209), la Camera Preliminare I della Corte Penale Internazionale ha accertato formalmente il mancato rispetto da parte dell’Italia dei propri obblighi in materia di cooperazione giudiziaria, segnando un precedente storico per il nostro Paese. La decisione rappresenta la prima volta che la CPI dichiara ufficialmente che uno Stato membro ha violato i propri impegni internazionali in questo modo specifico.

Il contesto legale dello Statuto di Roma

L’Articolo 88 dello Statuto di Roma stabilisce che gli Stati Parte devono garantire che la propria legislazione nazionale preveda tutte le procedure necessarie per le forme di cooperazione richieste dalla Corte. La violazione di tali obblighi rappresenta una questione di diritto internazionale pubblico di rilevanza fondamentale, in quanto compromette l’efficacia di un organo giudiziale internazionale istituito per perseguire i crimini più gravi della comunità internazionale. L’Italia, quale Stato Parte dello Statuto di Roma dal 1999, aveva assunto l’impegno di conformarsi a questi principi, introducendo nel proprio ordinamento la legge 237/2012 specificatamente dedicata alla cooperazione con la CPI.

Il procedimento presso la Camera Preliminare

Nella sua decisione, la Camera Preliminare ha esaminato nel dettaglio le circostanze del caso e ha respinto categoricamente tutte le giustificazioni avanzate dall’Italia. La Corte ha adottato un approccio rigoroso nel valutare le eccezioni sollevate dal governo italiano, affermando che nessun ostacolo di diritto interno può prevalere sugli obblighi internazionali assunti volontariamente da uno Stato.

Le giustificazioni italiane e il loro rigetto

L’Italia ha tentato di giustificare il mancato arresto e il rimpatrio di Almasri ricorrendo a due argomenti principali, entrambi rigettati dalla CPI con motivazioni dettagliate.

Il primo argomento: l’illegittimità dell’arresto secondo la legge nazionale

Il governo italiano aveva sostenuto che l’arresto effettuato dalla Polizia Giudiziaria sarebbe stato illegittimo secondo la legge nazionale 237/2012, che non prevederebbe la possibilità per la Polizia di procedere autonomamente (motu proprio) senza una prévia autorizzazione giudiziale. Secondo questa argomentazione, la procedura italiana avrebbe richiesto un coinvolgimento preliminare della magistratura, e l’assenza di tale procedimento avrebbe reso l’arresto inválido fin dall’inizio.

La CPI ha chiarito definitivamente che l’Articolo 88 dello Statuto di Roma impone agli Stati Parte l’obbligo di adeguare la propria legislazione nazionale alle esigenze della cooperazione internazionale. Pertanto, se la legge nazionale presenta lacune procedurali, lo Stato è tenuto a correggerle attraverso riforme legislative, non a invocare tali difetti come scusa per violazioni internazionali. La Corte ha sottolineato che eventuali ostacoli di diritto interno non possono giustificare l’inadempimento degli obblighi internazionali assunti espressamente mediante l’adesione allo Statuto di Roma.

Il secondo argomento: la presunta estradizione concorrente dalla Libia

Il secondo argomento italiano riguardava una presunta richiesta di estradizione concorrente avanzata dalla Libia. L’Italia sostenne di trovarsi di fronte a richieste conflittuali e di dover valutare la priorità secondo l’Articolo 90 dello Statuto di Roma, che disciplina appunto il caso di richieste concorrenti di estradizione.

Tuttavia, la Corte Penale Internazionale ha riscontrato gravi irregolarità in questa argomentazione. Innanzitutto, l’Italia non ha mai notificato formalmente l’esistenza di tale richiesta libica alla CPI, come invece espressamente richiesto dall’Articolo 90, comma 1, dello Statuto. La presunta richiesta di estradizione dalla Libia è stata menzionata dal governo italiano per la prima volta il 7 maggio 2025, cioè mesi dopo i fatti, con il chiaro intento di fornire una giustificazione retroattiva.

Inoltre, la CPI ha rillevato un’incoerenza decisiva: Almasri non è stato effettivamente estradato in Libia attraverso una procedura formale di estradizione, ma è stato rimpatriato come persona libera utilizzando una procedura amministrativa di espulsione. Questo fatto rendeva l’intero argomento delle richieste concorrenti completamente incoerente e opportunistico, poiché l’estradizione presuppone il trasferimento di una persona per essere sottoposta a procedimento penale, mentre il rimpatrio di Almasri lo ha restituito alla libertà.

Le implicazioni per l’Italia e il precedente storico

La decisione della CPI del 17 ottobre 2025 rappresenta un momento di svolta nelle relazioni tra l’Italia e la Corte Penale Internazionale. Per la prima volta, una Corte internazionale ha accertato formalmente che l’Italia ha violato i propri obblighi di cooperazione, generando conseguenze significative sia sul piano giuridico che politico.

Il deferimento al Consiglio di Sicurezza

Il 26 giugno 2025, la Vice-Procuratrice della CPI, Nazhat Shameem Khan, ha presentato la risposta dell’Ufficio del Procuratore confermando la intenzione di richiedere il deferimento dell’Italia alla Conferenza degli Stati Parte della CPI e/o al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ai sensi dell’Articolo 87.7 dello Statuto della CPI. Questo procedimento rappresenta una escalation diplomatica e legale significativa, poiché il coinvolgimento del Consiglio di Sicurezza potrebbe condurre a misure coercitive internazionali.

Le violazioni documentate

L’Ufficio del Procuratore ha documentato come l’Italia sia venuta meno all’obbligo di cooperazione con la CPI, fissato dall’Articolo 90 dello Statuto, non avendo provveduto ad arrestare Almasri e avendolo riconsegnato come persona libera alle autorità libiche. Questa doppia violazione – il mancato arresto prolungato e il rimpatrio inopportuno – rappresenta una chiara violazione del diritto internazionale.

Gli sviluppi successivi in Libia e il contesto politico

Malgrado la mancata estradizione all’Aia, la situazione politica e militare in Libia ha subito trasformazioni significative nei mesi successivi al rimpatrio di Almasri.

L’arresto di Almasri a Tripoli

Il 5 novembre 2025, Almasri è stato arrestato a Tripoli dalle autorità libiche per accuse di tortura e omicidio. Questo sviluppo ha paradossalmente confutato l’argomentazione italiana secondo cui il rimpatrio fosse necessario a causa della Libia. L’arresto dimostra che le condizioni di sicurezza e di stabilità istituzionale in Libia si erano evolute, rendendo possibile quello che il governo italiano aveva ritenuto impossibile al momento del rimpatrio.

Il cambio di equilibri politici interni

Le fonti governative italiane hanno successivamente precisato che il mutamento nella situazione libica derivava dagli scontri armati esplosi a Tripoli nel maggio 2025, in seguito all’uccisione di Abdelghani Gnewa Al Kikli. Questi eventi avevano indebolito significativamente la Forza Rada, di cui Almasri è uno dei principali esponenti, causandone la perdita di controllo su parte del territorio e delle funzioni di sicurezza. Questo mutato equilibrio interno avrebbe reso possibile e “funzionale” l’arresto di Almasri agli obiettivi politici del Governo di Unità Nazionale libico nel novembre 2025.

La giurisdizione della CPI e il contesto investigativo

La CPI indaga sull’operato di varie autorità libiche implicate nel traffico di persone nell’ambito della situazione sottoposta alla sua giurisdizione dal Consiglio di Sicurezza con la Risoluzione 1970 del 2011. Il 12 maggio 2025, il governo della Libia ha formalmente accettato che la CPI eserciti la sua giurisdizione sul territorio dello Stato dal 2011 fino al termine del 2027, cosa che avrebbe dovuto facilitare la cooperazione nel caso Almasri.

Conclusioni e prospettive future

Il caso Almasri rappresenta una crisi significativa nella cooperazione tra l’Italia e le istituzioni giudiziarie internazionali, evidenziando come anche uno Stato membro della CPI possa violare i propri impegni quando considerazioni politiche interne interferiscono con le procedure legali internazionali. La decisione della Camera Preliminare del 17 ottobre 2025 stabilisce un precedente vincolante che riafferma l’imperativo del diritto internazionale: gli obblighi assunti verso la comunità internazionale prevalgono su qualsiasi limitazione di diritto interno.

Il rimpatrio di Almasri ha compromesso un’occasione cruciale di giustizia internazionale e ha danneggiato la credibilità dell’Italia come Stato di diritto nel contesto internazionale. La prospettiva di un deferimento al Consiglio di Sicurezza rappresenta una conseguenza concreta di tale violazione, sottolineando come le azioni unilaterali di uno Stato possono generare ripercussioni significative nelle relazioni diplomatiche e legali globali.

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